Un terreno contaminato salla diossina sarà binificato da una piantagione di canapa. Accade a tarantoT
Pecore, capre e agnelli fatti uscire dalle stalle. Trascinati nei camion su commissione dell’Asl. Portati via e abbattuti. Accadeva a Taranto, nel 2008, nella masseria del Carmine della famiglia Fornaro, a due chilometri dell’acciaieria Ilva. Gli oltre 500 capi bestiame erano contaminati da diossine, perché i terreni su cui avevano brucato erano contaminati. Il loro latte era pericoloso per la salute. A distanza di cinque anni, in quella masseria, simbolo del dramma della comunità tarantina, parte un progetto che potrebbe far rinascere la speranza:la bonifica dei terreni attraverso la coltivazione della canapa, pianta capace di catturare le sostanze inquinanti, tra le quali anche i metalli pesanti, come lo zinco, e riutilizzabile come materiale per l’edilizia e le manifatture. È una sperimentazione voluta da CanaPuglia, e il nome del loro progetto – Canapa – sta per Coltiviamo azioni per nutrire abitare pulire l’aria. È un’associazione nata nel 2010 dall’idea di alcuni ragazzi di Conversano, tra i quali il presidente, Claudio Natile. Il loro progetto, vincitore del bando regionale Principi attivi, ha ottenuto un finanziamento iniziale di oltre 20 mila euro. L’obiettivo è la rivalutazione della coltivazione della duttile pianta, utilizzabile anche come alimento, per una sorta di cambiamento culturale voluto dai suoi promotori. E l’iniziativa è stata presentata pochi giorni fa.
Non solo Taranto – In Puglia e in Italia esiste già una rete di coltivatori e produttori legati alla canapa, che ha come referente regionale proprio la giovane associazione. Tra marzo e aprile partirà quello che CanaPuglia definisce “un contributo per il territorio di Taranto”, vale a dire la semina delle piante su quattro ettari di terreni inquinati della masseria Carmine. A ottobre, invece, ci sarà il raccolto. Tutte le fasi dell’esperimento, che durerà per tre anni e per tre raccolti, saranno monitorate e studiate dal Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) e l’Università di Bari. Sarà importante capire come e quanto la pianta sia in grado di catturare le sostanze inquinanti e se e in quale modo le rilasci, partendo dal dato che un ettaro di piantagione è capace di assorbire due tonnellate di C02, l’anidride carbonica. «Vogliamo iniziare a parlare di bonifica in termini di Phytoremediation, una tecnica che prevede l’uso delle piante per sequestrare sostanze nocive organiche e inorganiche – spiega Claudio Natile – una tecnica a basso costo, sia ambientale che economico, utilizzata a Chernobyl nel ’95.