“…Le donne ferite sono quelle che hanno amato troppo gli altri prima che se stesse.. sono quelle che si rinchiudono in un profondo silenzio con i pensieri che urlano per uscire.. sono quelle che hanno il coraggio di ricominciare sempre..
A volte penso di essere un sogno che qualcuno si è dimenticato di fare,
il sogno nel cassetto aperto nel momento sbagliato,
il dormiveglia di una dalia d’inverno
che lascia i suoi petali alla brina che l’uccide…
Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.
Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
se sapremo darci l’un l’altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l’ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia…
Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto
È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce.
La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica. A cosa mi serviranno i miei talismani: l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione, lo studio delle parole che l’aspro Nord usò per cantare i suoi mari e le sue spade, la serena amicizia, le gallerie della Biblioteca, le cose comuni, le abitudini, il giovane amore di mia madre, l’ombra militare dei miei morti, la notte intemporale, il sapore del sonno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fontana, già l’uomo si alza alla voce dell’uccello, già sono oscure sagome quelli che guardavano dietro le finestre, ma l’ombra non ha portato la pace.
È, lo so, l’amore: l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce, l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo.
È l’amore con le sue mitologie, con le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo di strada dove non oso passare.
Già gli eserciti mi accerchiano, le orde.
(Questa stanza è irreale: lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denuncia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.
Aprile-amore Il pensiero della morte m’accompagna tra i due muri di questa via che sale e pena lungo i tornanti. Il freddo di primavera irrita i colori, stranisce l’erba, il glicine, fa aspra la selce, sotto cappe e impermeabili punge le mani secche, mette un brivido.
Tempo che soffre e fa soffrire, tempo che in un turbine chiaro porta fiori misti a crudeli apparizioni, e ognuna mentre ti chiedi che cos’è sparisce rapida nella polvere e nel vento.
Il cammino è per luoghi noti se non che fatti irreali prefigurano l’esilio e la morte. Tu che sei, io che sono divenuto che m’aggiro in così ventoso spazio, uomo dietro una traccia fine e debole!
E’ incredibile che io ti cerchi in questo o in un altro luogo della terra dove è molto se possiamo riconoscerci. Ma è ancora un’età, la mia, che s’aspetta dagli altri quello che è in noi oppure non esiste.
L’amore aiuta a vivere, a durare, l’amore annulla e dà principio. E quando chi soffre o langue spera, se anche spera, che un soccorso s’annunci di lontano, è in lui, un soffio basta a suscitarlo. Questo ho imparato e dimenticato mille volte, ora da te mi torna fatto chiaro, ora prende vivezza e verità.
Ciò che ero solito amare, non amo più;
mento: lo amo, ma meno;
ecco, ho mentito di nuovo:
lo amo, ma con più vergogna,
con più tristezza;
finalmente ho detto la verità.
E’ proprio così: amo,
ma ciò che amerei non amare,
ciò che vorrei odiare;
amo tuttavia,
ma contro voglia,
nella costrizione,
nel pianto,
nella sofferenza.
In me faccio triste esperienza
di quel verso di un famosissimo poeta:
“Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia”.
La notte non può uccidere
la forza di un amore
che risplende nell’eterno
non moriremo della lontananza
tutte le mattine perché anche
se fosse apparentemente silenzio
ci sarebbero
urla
dolore da gridare dietro la saliva
di un pianto mesto con le guance
schiacciate dietro quel maledetto
vetro che nessuno osa alzare
tutto è una scena siamo noi gli
attori
cos’è la vita
se non una scena
dov’è la vergogna?
Non siamo armati e non siamo pericolosi
e soprattutto non abbiamo alternativa.
Ed è inutile lamentarsi se a settembre
non troviamo la buca piena di cartoline.
Chi non spedisce
non riceve
e noi a livello di spedire, per spedire
spediamo mica.
Ma beviamo.
Noi, a livello di bere
per bere, ci diamo.
Beviamo così tanto da non saper più niente.
Ti è mai capitato di non saper più niente?
Fa paura.
E se dura più di quarantatrè secondi, ci puoi rimanere.
A meno che tu non sia uno di quelli
che non sa più niente da sempre.
Beh, in tal caso io ti benedico.
Benedico te e il tuo cane.
E tua moglie.
Non hai un cane?
Accetti consigli?
Procuratelo.
E se c’è una cosa che ci piace da matti
è andarcene via senza salutare nessuno.
E se pensi
che i tuoi occhi non abbiano un potere scardinante
nei confronti dei miei
di occhi
e del mio stomaco, del mio cuore
e dei miei polmoni
beh, sei sulla cattiva strada, bambina
stai percorrendo la strada sbagliata.
Ora:
ci siamo accorti tutti
o tutti accorgerci dovremmo
che siamo deliziosamente vicini alla fine.
E se ti sembra che io sia un uomo confuso
siamo in due.
Vorrei andare in guerra solo per aver motivo
di scriverti lettere d’amore d’un certo peso.
Lo so
m’accopperebbero secco alla prima carica.
Aperto di baionetta come una scatola di tonno.
In conclusione:
se io fossi un faro
e tu una nave nella tempesta
ti raccomandassi l’anima al dio del mare
o a chi ne fa le veci.